A CALAIS CON CARRÈRE


A Calais. Letto in una notte calda, senza accorgermi che la mia mano voltava le pagine e la lancetta girava con gusto su sé stessa, questo libro mi ha portato a Calais e mi ha lasciato a dormire ospite di una donna marocchina che lascia le persiane aperte. Sempre, tranne qualche giorno, quando si scorda di pulire i vetri e furbescamente lascia che l’ombra perdoni la sua negligenza di donna di casa. Se è per questo, dimentica anche il bagagliaio dell’auto aperto, pieno di borse della spesa, mentre le scarica una per una.

Lei è la figura luminosa di questo libricino che Emmanuel Carrère ci regala in elegante agilità, edito da Adelphi. In un formato che non c’è valigia da cui non possa essere ospitato. Non ci sono scuse per non leggerlo, ma in apparenza neanche particolari motivi per affrontare l’ennesimo scritto di un seppur bravo autore che racconta la Giungla di Calais. Sì, quella, la stessa che abbiamo visto in tv, sui giornali, in reportage fotografici. Quella.

Ho pensato anche io qualcosa di simile a ciò che dice Marguerite, altra figura del libro, non luminosa, ma illuminante: con la sua voglia di oscuro, accende la voglia di far luce del tutto, à Calais, e una volta per tutte. Ho pensato anche io, inizialmente, come lei, “mo’ arriva questo, e si crede di far la nuova voce sulla solita ormai vecchia storia della Giungla. Chi si crede di essere? Cosa si è messo in mente questo ‘presuntuoso’ scrittore di romanzi?”.

Apparentemente banale, la scelta di Carrère à Calais, sulla carta stampata, è vincente, penetrante: rapisce, mi porta in quella città e, finito il libro, mi lascia a casa della sua ultima intervistata, quasi a dire “beh, Marta, ora fai tu, continua tu”. Continuo io a raccontare cercando l’altra prospettiva, cambiando punto di vista, facendo leva sugli attacchi e sulle critiche: impugnati, e non presi di petto, si trasformano in un piede di porco che scardina abilmente gli schemi mentali con cui inconsapevolemente osservo purtroppo ciò che accade intorno. 

Interessante ascoltare Calais vista da lui, un viaggio letterario che emoziona al massimo delle potenzialitá che carta e inchiostro possiedono, quanto a coinvolgimento emotivo. Ciò che però lascia, Carrère, è la voglia, anzi, la determinata convinzione in me di voler raccontare persone, luoghi, fatti vivendoli e cercando una prospettiva diversa. Cercandola o accettandola se proposta da chi si incontra e che, a volte anche non molto educatamente, ci mette in mano una chiave arrugginita per aprire la nostra mente.

Non ho ancora le idee chiare sulla Giungla, e su Calais. Il libro Adelphi ha aggiunto una voce alla lista di quelle già lette e sentite. Ha arricchito il quadro di altri colori, cupi e vivaci, senza però dargli quei contorni nitidi che forse mai avrà, realtà in evoluzione come è, in balia di idealismi e interessi contrastanti.

Ho le idee chiare su ciò che desidero siano le parole che mi attraversano, fuoriuscendo da penna o pollici-su-touchscreen. Che siano narrazione di un punto di vista non scontato, siano ricerca del testimone o del coinvolto da ascoltare e a cui dar voce. Che siano una, una delle tante, prospettive, siano l’opportunità per me, innanzitutto, e per chi legge, di fare un passo di lato, o indietro, o una leggiadra capriola, per osservare lo stesso panorama in modo nuovo. Con tutta la libertá di tornare al punto di prima, ma ormai diversa, più ricca, forse più dubbiosa e insicura, orfana della “verità unica” che credevo di avere in tasca. Sicuramente più viva.