la scrittrice senza nome

Lo si può leggere sotto l’ombrellone con l’animo divertito delle onde impegnate solo a lasciare segni multiformi ed eterei sulla battigia.

alice bassoLo si può leggere all’ombra di un albero in un parco, assaporando al fresco i passaggi più intensi e lasciando loro il varco aperto perché possano penetrare e restare nella nostra cassa toracica. Laddove i pensieri, liberi dai costrutti grammaticali, realmente rimbalzano e si amplificano diventando azioni.

Lo si può leggere su un treno, in movimento, a tappe, seguendo Vani nelle sue e crescendo con lei, scoprendo con lei cosa ogni stazione promette e cosa realmente offre. E cosa lascia.

Vani è una ghost writer e la trama è presto detta (la trovate QUI) ma non è ciò che qui che ci interessa del libro di Alice Basso a cui devo un rinnovato amore per il mestiere che faccio.

Stress, scadenze e clienti si impegnano a volte per farmi scordare che faccio il mestiere più bello del mondo e che lo faccio con una passione che riservo a poche altre cose e persone.

Stacanovista? No, e lo mostra bene Basso nel suo libro raccontando che scrivere per altri e di altri, e non sul proprio diarietto, significa ascoltare, osservare, intuire, amare. Significa mettere da parte le proprie idee, fisse e convinzioni, senza cestinarle ma dando spazio a visioni diverse e a mondi fino a quel momento ignoti. Significa mettersi in discussione e confrontarsi, con a volte qualche sacrificio, ma uscendo sempre più ricca e più sé stessa.

Non c’è tema, anche tra i più assurdi di cui io mi sia trovata mai a scrivere, che non mi abbia in qualche modo segnato o educato. Dai delitti milanesi al vomito giallo di cane, ogni riga scritta per altri, a volte nemmeno firmata, mi ha reso sempre più me stessa.
L’ho sempre sentito.

Alice Basso me lo ha fortemente ricordato regalandomi anche il piacere di una lettura che anche i non ghost writers possono godersi. La protagonista è simpatica e ben creata, la trama tiene bene e non delude con banali romanticherie di sorta. I dialoghi sono realistici e non irritanti, i personaggi fanno compagnia e raccontano una umanità varia e interessante. Interessante se siamo disposti a farle spazio e ad ascoltarla. Ovvio! E senza per forza aspettarci che faccia qualcosa spettacolare: lo spettacolo è già insito nella evoluzione costante di esistenze che sono insignificanti se non hanno il coraggio essere in divenire.

un sorriso da 20 cm

Un parrucchiere aperto domenica mattina? Ne trovo uno vicino a casa, mi fiondo alle 9, orario di apertura, con la pagina di istruzioni aperta sullo smartphone e un sacchetto per surgelati XXL in borsa. Poche persone davanti: una piega bionda, un taglio bianco, una tinta dal bianco al nero.

“Però prima dovrei chiedere una cosa tecnica, se no non resto”.

Occhi spalancati: “cosa vorrà questa? Forse una treccia carpiata tripla e fuxia

“Io devo tagliare i capelli 20 cm. E li devo portare via”.

Scatenata la curiosità delle ragazze in divisa da taglia-capelli, una di loro, chiamiamola Monica, si è appassionata alla causa e le ho spiegato tutto. Ha preso un metro da geometra, mi ha fatto uno shampoo delicato e poi una treccia , l’ha misurata e ZAC.

Le clienti in attesa ci hanno visto armeggiare con sacchetti per surgelare lasagne e metro da impresa edile, esaltate e impegnate, complici e sorridenti. Incuriosite ma non hanno osato chiedere. E poi, per non compromettere i loro tagli, da ben pochi cm, non potevano troppo voltare la testa per assistere alle varie fasi.

Messa la treccia “a surgelare”,  ho chiesto un taglio “disordinato che tanto non mi pettino” e in mezzora tutto finito. La mia complice ha voluto l’indirizzo per la treccia “lo dico alle altre che vengono qui, così ne mandiamo tante”.

Rientrando i cani mi hanno guardata perplessi, ma han sorriso di riflesso a me : “contenta lei”.

Si, molto.

Non posso donare il sangue, una sensazione di impotenza e frustrazione. I capelli così lunghi, molto più di 20 cm, però, erano ben altro che un capriccio di ex bambina o una mera scelta estetica. Dopo averli dovuti tagliare cortissimi per motivi di salute, e di quantità e qualità, averli in testa fluenti e ondeggianti, poterli toccare e sentire con me, sentirli sfiorare il mio viso scarno e sapere di poterli intrecciare con le dita in momenti in cui è meglio tacere “ma quante gliene direi”, era per me una cosa importante. Era.

La possibilità di regalarli ad una altra donna che possa trarne felicità e sollievo, arrivando a sentirsi meglio con la propria immagine, a sorridersi allo specchio la mattina anche con una terapia fissata il pomeriggio, da possibilità si è trasformata in desiderio. Un desiderio così impellente da doverlo subito realizzare. E con il taglio “per favore disordinato che tanto non mi pettino” mi sorrido anche io allo specchio con una dolcezza che da tempo non riservavo a me stessa. Oggi mi accorgo che ho bisogno di questo e non di 20 e passa cm di chioma addosso. 

Ho girato il link del progetto ad un amico in whatsapp. Quello del Progetto Smile di Tricostarc, mi ha scritto:

– Ma ti rapi e doni capelli???
– L’ho giá fatto e sono bellissima.

martellante

DARE COLORE NERO SU BIANCO

FullSizeRender.jpgPrestare, anzi, regalare parole a pensieri altrui, senza scomparire, perché ci si chiede di esserci nel nostro saper dare voce, senza interferire con il messaggio che abbiamo promesso di custodire e rendere più chiaro e manifesto.

Chi fa davvero tutto ciò e cerca di farlo al meglio, con onestà e passione, si trova a lavorare su sé stesso in modo profondo al di là di quanto sia effettivamente profondo il messaggio che ha tra le mani.

Chi fa tutto ciò si trova a tracciare a mano libera un proprio confine di competenza: oltre invade, se si ferma prima non fa ciò di cui è stato incaricato.

Chi fa tutto ciò si trova a ballare con l’altro, a sua insaputa, in una danza di pensieri, parole e intenzioni con un ritmo alquanto sincopato e irregolare, come il respiro di chi sta avanzando da solo a piedi lungo percorsi inesplorati.

Chi fa tutto ciò si mette in discussione, facendo spazio al pensiero altrui per dargli forma letteraria accetta tacitamente che esso possa influire sulla sua vita reale e quotidiana. Deve concedergli la possibilità di farlo se vuole realmente fare un buon lavoro, ma allo stesso tempo non deve mostrarsi arrendevole.

Chi fa tutto ciò deve saper ascoltare, restando sé stesso, accogliere, decidere di essere mutevole ma a propria discrezione, sempre rispettando i pensieri affidatigli da altri con la fiducia preziosa di chi consegna il proprio tesoro, timoroso ma anche coraggioso