due sirene in un bicchiere

Ha un alone magico ma la compagine è formata da tipi molto normali anche se con storie particolari alle spalle che molto probabilmente servivano per creare i presupposti. “Due sirene in un bicchiere” è un libro così, preparato a tavolino, o così si percepisce, ma con cura e intelligenza.

Non rapisce ma fa compagnia. Non muove le acque del lettore creando tempeste e onde ma le accarezza leggero come può fare la brezza con la superficie di un lago blu.

Siamo al mare, ma non spesso in spiaggia, siamo in un B&B gestito da due donne molto diverse che si sono inventate una sorta di format per ospitare persone scelte e che scelgono di voler proprio stare in questo angolo di mondo con pro e contro logistici che sanno un po’ di olistico.

Questo non è stato altro che il modo, ai miei occhi, per assemblare esseri umani diversi e di origine varia facendoli interagire tra loro, e con sé stessi, in campo neutro. É una bella partita, ben scritta e studiata, ci sono parti a volte scontate e che potrebbero risultare patetiche ma che si salvano all’ultimo con un colpo di reni che arriva ogni volta grazie alla trama interessante e all’abilitá dell’autrice, Federica Brunini, di alternare lo sguardo su più sguardi. Il respiro su più respiri.

Ci si sintonizza così su varie frequenze e il tempo passa, il libro volge al termine e la vacanza al mare anche. Dal dolore, alla forza di ricominciare.

la felicità del cactus

Anche i cactus possono essere felici senza tradire la propria natura, questa è la notizia. Un libro racconta come, svicolando da ogni etichetta e stereotipo, per affrontare il problema direttamente.

Chi si aspetta una storia da ombrellone con la classica zitella convertita da un amore improvviso ha sbagliato libro.

C’è amore nel “La felicità del cactus” (Sarah Haywood – Feltrinelli), ma quello verso gli uomini passa in secondo piano rispetto a quello nei confronti di sé stessi.

Un cactus felice non può che amarsi e amare la propria condizione di cactus non vivendola come una limitazione ma anzi lucidandosi quelle spine che in fondo fanno parte della sua identità tanto quanto i fiori che produce di tanto in tanto con quella accortezza e quel rispetto dei propri ritmi che altre piante non hanno.

Trama in quarta di copertina fin troppo raccontata, La felicità del cactus è un romanzo ricco di umanità e povero di esiti scontati. Contiene una storia delicata e senza strappi. E’ bella la sensazione di aspettarsi il colpo di scena trovandosi invece a che fare con tanti piccoli movimenti impercettibili che formano una danza dalla coreografia magnetica.

Affiancando la protagonista nel suo procedere si inizia involontariamente a cambiare punto di vista, sui cactus e sulle persone.

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PARIGI E’ SEMPRE UNA BUONA IDEA

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Parigi è sempre una buona idea, eccome se lo è, e anche leggere un romanzo che rilassa e fa sognare, farcito di luoghi comuni e battute banali, che ribadisce quanto sia romantica la Ville Lumière e quanto siano imprevedibili le vie percorse dall’amore che poi trionfa, è sì una buona idea. 

Il taccuino e il negozio di Rosalie, profumano di carta e di colori, accolgono. L’americano con le idee confuse, incuriosisce e affascina. L’anziano scrittore intenerisce. Il cagnetto con nome d’artista fa simpatia, l’amante irritante…. irrita! È tutto normale, e “Parigi è sempre una buona idea“.

Cos’ha di speciale il romanzo di Nicolas Barreau, pubblicato da Feltrinelli? Scorre liscio ma non lascia indifferenti, a volte cade nello scontato, nel lessico e nella trama, ma poi si fa perdonare con un particolare originale che fa la differenza. È un libro da leggere perché non è imperdibile ma molto utile, fa riappacificare i lettori (e viventi) inquieti come me, con la banalità della vita convincendoci che non c’è nulla di male né di squallido nelle giornate in cui tutta va liscio, nelle coincidenze fortuite che sembrano uscite da una telenovela, nei desideri che si avverano e negli amici che ti affiancano con frasi magari scontate, ma che son quelle che escono dalla bocca quando si vuole dire “per te ci sono”.

Per non parlare dello sviluppo della storia d’amore, dall’esito prevedibile  già dalle prime battute… eppure è coinvolgente, per il suo delicato srotolarsi giorno dopo giorno, tra piccoli colpi di scena che l’autore ingigantisce mettendosi nella mente di Rosalie, quando per chiunque sarebbero imprevisti “normali”.

Parigi è sempre una buona idea. Parigi è Parigi, è bella e basta, ed è meraviglioso passeggiarvi e viverci, anche se la si è già vista mille e più volte dal vivo e in cartolina. Lo stesso vale per questo romanzo, è una storia di vita, normale, scene e trame viste e straviste, ma che emozionano ancora e ancora, fanno sentire vivi, lasciano a bocca aperta sempre, come lo spettacolo della Torre Eiffel illuminata: è sempre quello, ma è bello, perché non concedersi di goderne una volta ancora?

parigi buona idea

CARO DANIEL PENNAC

il caso malaussene 2
Perché hai voluto tornarci su? La storia era bella così, con la tua scrittura che scalfisce, il tuo tono scanzonato che riesce a far ridere e far pensare, senza mai far sprofondare il lettore nella tristezza ma accompagnandolo alla soglia del mondo dei pensieri profondi. 
Perché? 
Perché, Daniel? 
Ti hanno obbligato? 
Ti sei sentito in dovere? 
Questo “ritorno” non rende il tuo libro un brutto libro ma lo ingabbia in un meccanismo di ricordi che toglie attenzione alla nuova storia che vuoi raccontare. Così per lo meno è parso a me, a me tua assidua lettrice e adoratrice, a me che ho dedicato un giorno su tre del mio ultimo viaggio a Parigi al quartiere di Belleville per cercare – e trovare – colori, volti e voci malaussèniani. 
Rapita dal rapimento de “Il caso Malaussène“, mi ha un po’ disturbato il continuo invito a scavare nella mente per riprendere le trame e le pagine dei tuoi precedenti libri. Che, per grazia, mi sono piaciuti, molto davvero, ma che preferivo lasciare sullo scaffale e semmai rileggere di mio in un altro momento dedicandomi alla tua nuova storia.
 I nomi, i richiami, alcuni flashback, li ho percepiti come interferenze fastidiose in una trama nuova che invece avevo voglia di divorare indisturbata, godendomi appieno ciò che la tua meravigliosa fantasia aveva creato apposta per me. 
Una nuova storia in cui ritrovare la bellezza della tua scrittura e la tua abilità nel parlare di cronaca e realtà attraverso “storielle” apparentemente assurde, invece attuali e originali . 
A 30 pagine dalla fine della lettura de “Il caso Malaussène” a Radio24 è andata in onda in replica la tua intervista al Cacciatore di libri di Alessandra Tedesco. Si, si, ho capito cosa è accaduto e come è andata e non ti accuso di furberie di marketing o di sottomissione all’editore. Comprendo che non è mica facile trattenersi di fronte alla simpatia della saga di cui sei il creatore. Comprendo, continuerò a leggere “il caso”, ma penso che non penserò al passato e vivrò, sorriderò e immaginerò ciò che scriverai come una serie di nuove storie a sé stanti, per dare loro attenzione, dignità e vitalità.  
il caso malaussene

NUMERO UNDICI #FUORIPOSTO 

Numero Undici di Jonathan Coe, tra i #fuoriposto, gruppo di lettura della libreria Virginia e Co (Monza) 

Foto di Giovanna Canzi


Perché poi quei ragni? Partendo dal finale, che non sveleremo, si è discusso di Numero Undici concordando che “è un libro che consiglierei” ma sbizzarrendoci fantasiosamente sugli “anche se” raccogliendone anche di opposti. Jonathan Coe si è dimostrato, per chi lo conosceva già, confermato, un abile tessitorie di trame. Nel suo nuovo romanzo ha toccato tutti i temi più scomodi e attuali senza tirarsi indietro. Concentrandosi sul potere, sul mondo dello spettacolo, dei media e della politica, non ha trascurato amore, omossesualità e rapporti familiari, distribuendo tra i suoi personaggi questi ingredienti in modo che nessuno rimanesse troppo vuoto o contradditoriamente “pieno”. 
Ma?  

Foto di Giovanna Canzi

Perchè questa trovata finale? Per alcuni “non sapeva come terminare il romanzo”, come se si fosse stancato e avesse voluto frettolosamente chiudere e consegnare il malloppo all’editore. Molti si sono chiesti perché, pochi, ma qualcuno c’è stato, hanno trovato una risposta. “Il declino che si è trovato a descrivere a quel punto della storia era così terribile che ha dovuto ricorrere a creature ‘fantasy-horror’, sentendo che il sarcasmo pungente di sempre non sarebbe bastato”. È una interpretazione, possibile, un alibi che vede un Coe che ha scelto e non che è scivolato, in parte anche giocando sul fatto di poter contare sull’affievolirsi dello spirito critico nei suoi confronti sia da parte dei suoi lettori sia da parte dei suoi editori. 

Anche lo stile ha deluso, con frasi a volte banali soprattutto se firmate da una penna che in altri romanzi ha fatto sognare per la sua acrobatica armonia sempre essenziale e allo stesso tempo capace di magie. Soprattutto nella parte iniziale, quando il mondo di Numero Undici è visto con gli occhi di una ragazzina, la prosa non si può dire ricercata. C’è chi ci ha fatto caso, chi ne è rimasto turbato, chi, catturato dalla storia, ha tirato dritto fino alla parte più intensa e interessante del romanzo. Ragni giganti o meno, Coe non ha mancato di coraggio nell’entrare nel merito del marcio della propria Gran Bretagna, anche firmando un finale discutibile e che ci ha fatto discutere mettendo in luce una volta di più come le stesse righe facciano vibrare corde differenti in ogni lettore. 

Il prossimo appuntamento #fuoriposto è martedì 7 marzo alle 21 alla vineria Bohème di via Bergamo. Con il libro LA PURGA di Sofi Oksanen

Il titolo pubblicato, in Italia da Guanda, ha vinto contro Cortocircuito di Yehoshua Kenaz (Nottetempo) e Questa vita tuttavia mi pesa molto di Edgardo Franzosini (Adelphi).

La precedente puntata #fuoriposto potete leggerla QUI